È in colpa il notaio che attesta l’identità delle parti sulla base di documenti falsi

L’art. 49 della l. notarile (nel testo fissato dall’art. 1 della l. n. 333 del 1976), secondo il quale il notaio deve essere certo della identità personale delle parti e può raggiungere tale certezza, anche al momento dell’attestazione, con la valutazione di “tutti gli elementi” atti a formare il suo convincimento, contemplando, in caso contrario, il ricorso a due fidefacienti da lui conosciuti, va interpretato nel senso che il professionista, nell’attestare l’identità personale delle parti, deve trovarsi in uno stato soggettivo di certezza intorno a tale identità, conseguibile, senza la necessaria pregressa conoscenza personale delle parti stesse, attraverso le regole di diligenza, prudenza e perizia professionale e sulla base di qualsiasi elemento astrattamente idoneo a formare tale convincimento, anche di natura presuntiva, purché, in quest’ultimo caso, si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti. (Nella fattispecie concreta la Suprema Corte, con l’ordinanza n. 15490/2023, ha confermato la decisione dei giudici di merito, che avevano ritenuto responsabile il notaio di aver identificato le parti sulla base delle carte di identità (successivamente risultate non autentiche), che ha fotocopiato, dell’esistenza di una procura speciale a vendere (la cui sottoscrizione poi è risultata apocrifa) e facendo affidamento sulla presenza all’atto dei funzionari bancari e di intermediazione con i quali le parti avevano intrattenuto pregressi rapporti)